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"Sulla responsabilità nel caso di lavori di manutenzione “a chiamata”"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
30/09/2013 -
Commento a cura di G. Porreca.
Il caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione in questa
occasione riguarda l’infortunio mortale occorso ad un dipendente di una
ditta di manutenzione di impianti il quale durante un suo intervento
all’interno di una macchina miscelatrice del calcestruzzo è
rimasto infortunato a causa dell’avviamento della macchina stessa
operato da un altro lavoratore il quale ignorava la sua presenza. La
singolarità del caso sottoposto all’esame della suprema Corte è legata
al fatto che la ditta di manutenzione non ha effettuato il suo
intervento a seguito di un contratto in quanto è risultato scaduto ma “a
chiamata” così come del resto aveva già fatto in precedenza quando se
ne era presentata la necessità. Interessata la Corte di Cassazione alla
quale è stato richiesto dai ricorrenti di annullare la sentenza della
Corte di Appello, la stessa ha ribadito che il fatto di intervenire “a
chiamata” per la manutenzione di un impianto non è sufficiente ad
escludere l’esistenza di una posizione di garanzia da parte del datore
di lavoro della ditta intervenuta.
Il caso ed il ricorso in Cassazione
Il Tribunale ha
affermata la responsabilità dell’amministratore unico e del preposto di una
società in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle
norme sulla sicurezza del lavoro in danno di un lavoratore dipendente della
società medesima e li ha condannati altresì al risarcimento del danno nei
confronti delle parti civili nonché al pagamento delle provvisionali.
Secondo quanto ritenuto
dai giudici di merito, la vittima si trovava all'interno di un apparato di
miscelazione del cemento di proprietà della società sopra indicata per eseguire lavori di manutenzione allorquando l'apparato veniva
inopinatamente attivato da un operatore che non era al corrente della presenza
del lavoratore nella macchina che nell’accaduto ha riportato le lesioni letali.
All’amministratore ed al preposto della società che curava la manutenzione e la
sicurezza degli impianti è stato mosso l'addebito di non aver curato
l'efficienza dei meccanismi di sicurezza e protezione che avrebbero dovuto
automaticamente bloccare l'impianto in presenza di persone al suo interno.
La sentenza è stata
confermata dalla Corte d'appello per cui gli imputati hanno ricorso per
cassazione. Gli stessi hanno sostenuto, a loro difesa, che la loro società si
era liberata degli obblighi contrattuali per scadenza del contratto stesso
afferente alla manutenzione degli impianti e che nella gestione degli stessi era
subentrata la società committente per cui nessun addebito di garanzia poteva
essere posto a loro carico. Del resto l'attivazione della macchina che aveva
prodotto l'evento letale, hanno fatto osservare i ricorrenti, era stata compiuta proprio da un dipendente
della società committente medesima per cui era da ritenere che fosse
intervenuta una serie causale autonoma che ha prodotto il tragico evento in
modo del tutto indipendente.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione,
nell’annullare la sentenza per intervenuta prescrizione del reato, ha esaminato
sotto il profilo afferente alla condanna al risarcimento del danno. La stessa ha
ritenuto infondato il ricorso presentato dagli imputati confermando le statuizioni
civili.
La suprema Corte ha
preso atto che dalla sentenza impugnata è emerso che la ditta di manutenzione
alle cui dipendenze lavorava la vittima operava nello stabilimento della ditta
committente curando le operazioni di manutenzione, non più per effetto di un contratto
di appalto che era scaduto,
bensì alla stregua di una intesa in base alla quale l'azienda continuava a
garantire la manutenzione degli impianti a chiamata, fatturando di volta in
volta la prestazione ed intervenendo ogni qualvolta se ne presentava la necessità.
Le modalità
dell'infortunio, ha fatto notare la Sez. IV, sono state ricostruite in modo non
controverso. Il dipendente si era introdotto all'interno di un miscelatore di
calcestruzzo per eseguire operazioni di
pulizia e manutenzione ma l'apparato
di sicurezza che avrebbe dovuto inibire l'accensione dell'impianto in
concomitanza di persone al suo interno non era funzionante, essendo stato
bloccato da incrostazioni di calcestruzzo. La suprema Corte ha posto altresì in
evidenza che l’inconveniente che aveva portato all’infortunio era noto agli
imputati i quali non avevano, tuttavia, fatto nulla per risolverlo né avevano
posto in atto procedure manuali per assicurare che l'apparato non entrasse
impropriamente in funzione in concomitanza con la presenza di persone al suo
interno.
Secondo la suprema Corte
quindi la Corte di Appello ha giustamente individuata una posizione di garanzia sia nei confronti
dell’amministratore dell'azienda che eseguiva le operazioni di manutenzione che
dell’altro imputato che rivestiva la qualifica di preposto. Ambedue i soggetti erano a
conoscenza dell'inconveniente che aveva determinato l'evento per cui nei loro
confronti si è configurato l’obbligo di cautelare il rischio nonché la garanzia
della gestione della sicurezza dell’impianto. “
D'altra parte”, ha sostenuto la suprema Corte, “
non si può ritenere che l'attivazione
dell'apparato da parte di soggetto inconsapevole possa costituire fattore
causale autonomo, visto che gli imputati avevano assunto il compito di
assicurare la sicurezza degli impianti e di evitare incidenti del genere di
quello verificatosi; e che l'operazione posta in essere era tipica delle
lavorazioni”. “
Il fatto di
intervenire a chiamata per le manutenzione”, ha così concluso la suprema
Corte, “
non è sufficiente ad escludere
l'esistenza di posizione di garanzia”.
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