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"Amianto: le motivazioni della condanna agli ex dirigenti Ilva"
fonte www.puntosicuro.it / Amianto
17/09/2014 -
I 27 ex dirigenti dell’Ilva
condannati in primo grado a complessivi 189 anni di carcere per disastro
ambientale e omicidio colposo, con pene comprese tra quattro e nove anni e
mezzo di reclusione, si sono resi responsabili di una “consapevole e lucida
omissione” perpetrata per decenni, che ha portato alla morte degli operai
affetti da mesotelioma pleurico, contratto in seguito all’esposizione alla
fibra killer presente all’interno dello stabilimento di Taranto, di proprietà
pubblica fino al 1995 e poi ceduto alla famiglia Riva.
“I lavoratori non sono stati sottoposti a
visite mediche”. È quanto emerge dalle 286 pagine delle motivazioni della
sentenza dello scorso 23 maggio, depositate lunedì dal giudice Simone Orazio,
in cui il magistrato scrive che se i manager del polo siderurgico ex Italsider
avessero sottoposto a visite mediche adeguate i lavoratori, queste avrebbero
consentito di “diagnosticare una patologia (es. placche pleuriche) che poteva
essere un campanello d’allarme per il mesotelioma e che certamente avrebbe
obbligato il datore di lavoro a non esporre più il lavoratore, affetto da tale
problematica di salute, alle fibre di asbesto” e a “valutare la incompatibilità
del lavoratore rispetto alle mansioni sino ad allora espletate e quindi anche
rispetto all’esposizione ad amianto,
motivo per cui in questi casi l’accertamento sanitario avrebbe permesso di
adibire il dipendente ad altre mansioni, sottraendolo al pericolo di morte”.
“Mai adottato alcun provvedimento concreto”. Il giudice sottolinea, inoltre, che “la tematica dell’ amianto, pur profondamente conosciuta da tutti i vari ceti aziendali e quindi da tutti gli imputati, non ha mai superato il piano dell’oralità”, perché nessun dirigente Italsider o Ilva “ha mai adottato un provvedimento concreto volto a migliorare le condizioni di lavoro legate all’amianto”. Al contrario, “gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati proprio perché essi avrebbero determinato una palingenesi dell’attività produttiva, uno stravolgimento degli impianti e l’investimento di notevolissime somme di denaro”. Denaro che comunque era nella disponibilità dell’azienda.
“Mai adottato alcun provvedimento concreto”. Il giudice sottolinea, inoltre, che “la tematica dell’ amianto, pur profondamente conosciuta da tutti i vari ceti aziendali e quindi da tutti gli imputati, non ha mai superato il piano dell’oralità”, perché nessun dirigente Italsider o Ilva “ha mai adottato un provvedimento concreto volto a migliorare le condizioni di lavoro legate all’amianto”. Al contrario, “gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati proprio perché essi avrebbero determinato una palingenesi dell’attività produttiva, uno stravolgimento degli impianti e l’investimento di notevolissime somme di denaro”. Denaro che comunque era nella disponibilità dell’azienda.
“La bonifica eseguita con una tecnica
inadeguata”. Orazio, infatti, a questo proposito precisa che “la mancata
predisposizione delle cautele in questione non è da attribuirsi a mancanza di
liquidità da parte dell’Ilva, ovvero a una sfavorevole congiuntura economica,
oppure, ancora, a una riduzione dell’attività produttiva”, dato che solo nel
2007 l’utile registrato dall’azienda era superiore ai 300 milioni di euro. Dal
processo era anche emerso che la bonifica della fibra killer presente “in ogni
angolo” dello stabilimento “era avvenuta attraverso la tecnica della cosiddetta
‘glove bag’, adeguata solo per l’asportazione di piccole quantità di amianto e
quindi non certo indicata per le esigenze dell’Ilva”, che era tenuta a
rimuoverne migliaia di tonnellate.
“Le scelte aziendali improntate al più
rigoroso risparmio”. Il magistrato bolla dunque come “discutibilissima” la
politica aziendale tenuta dall’Ilva, le cui scelte in materia di lotta
all’amianto sono risultate essere “improntate al più rigoroso risparmio,
ulteriormente dimostrato dalla scarsa competenza e professionalità delle ditte
a cui veniva commissionata la bonifica”. Di qui la responsabilità degli ex
vertici per gli omicidi colposi, cui si somma la condanna di alcuni imputati
anche per il disastro ambientale che ha coinvolto i 300mila abitanti di Taranto
e dei Comuni limitrofi.
Fonte: Inail.
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